Mercoledì delle ceneri -Non stanchiamoci di camminare… Buona Quaresima

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SPIEGAZIONE DELLA NORMA SPIRITUALE, PAROLA PER PAROLA, SULLA QUARESIMA DELLA MINIMA

 

            “La quaresima della Minima è l’impegno che si concretizza giorno per giorno vivendo il mistero di Cristo, con l’accettare tutte le sofferenze che si presentano”       (voce: Quaresima, n. 2).

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RIFLESSIONI  PERSONALI

  1. La quaresima per la Minima vuol dire impegno nella santità

Nel pensiero della Chiesa la quaresima è il periodo del ritorno dei cristiani a Dio, se si sono allontanati da Lui; se invece non si sono allontanati, è il periodo in cui devono impegnarsi con lena nella via della santità.

A che serve fare penitenza se non vogliamo diventare santi, se non vogliamo salvarci?

Ha detto Gesù: “Se vuoi, va’, vendi …” (cfr. Mt 19, 21). Tutto è fondato su quel “vuoi”.

Bisogna volerlo, volerlo fortemente e volerlo fortissimamente, come disse Vittorio Alfieri.

È vero che nella vita si trovano delle difficoltà ed anche gravi, però con la grazia di Dio e la buona volontà si affrontano e si superano tutte.

Se Vittorio Alfieri, quando aveva quarant’anni, è riuscito ad imparare il greco per leggere le poesie dei poeti greci, dicendo: “Volli, sempre volli, fortissimamente volli”, non possiamo riuscire anche noi a progredire nella via della santità?

Sant’Agostino disse prima di diventare santo: “Se questi e quelli sono riusciti a vincere l’attrattiva del peccato, perché non posso riuscirci anch’io, con la grazia di Dio?”.

Dio ci ha creati liberi e ci lascia liberi, anche quando ci invita a diventare santi, perché la santità è un atto di amore, e l’amore per essere amore deve essere libero, non imposto.

 

  1. L’impegno nella santità è una condizione per essere discepoli di Cristo

“Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso …” (Lc 9, 23).

“Va’, vendi quello che possiedi” (Mt 19, 21).

Se volete essere discepole di Cristo dovete impegnarvi nella santità. Io sono contento che il Papa nella lettera apostolica “Novo millennio ineunte” al termine del Grande Giubileo del 2000 ha parlato della santità come fine da raggiungere.

Che cosa vuole il Cristo da noi? La santità! Ebbene, il discepolo non è da più del maestro. Lui santo, noi santi; Lui crocifisso, noi crocifissi.

Chi vuole essere discepolo di Cristo deve fare quello che Lui ha fatto e che Lui ha chiesto.

            La legge fondamentale della santità è l’imitazione di Cristo.

Gesù ha detto: “Imparate da me”. Non c’è modello più perfetto di Cristo. Nessun santo si è presentato a noi e ha detto: Modellatevi sulla mia vita!, senza essersi prima modellato sul Cristo; anche se del Cristo, pienezza di santità, ha imitato un aspetto particolare della sua vita.

Dalla nascita alla morte Gesù ha vissuto la dimensione del lavoro, dell’amore di Dio, dell’amore del prossimo, del silenzio, del deserto …Ognuno di noi può prendere da Gesù quello che vuole o quello che gli piace di più o che è più conforme ai suoi desideri, per imitarlo. Ecco perché ci chiamiamo cristiani, piccoli Cristi. Uno che vede noi deve dire: Così agiva il Cristo!

  1. L’impegno nella santità deve comportare nel discepolo di Cristo uno sforzo tale da rasentare la violenza

Gesù ha detto: “Il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono”        (Mt 11, 12).

In altri termini bisogna voler entrare fortissimamente nel Regno dei cieli, senza fermarsi dinanzi a nessuna difficoltà.

La Minima deve farsi violenza nell’eliminare tante cose che dispiacciono al Cristo e nel fare tante cose che piacciono al Cristo.

Volendo incominciare a percorrere la strada della santità, dobbiamo eliminare il male e fare il bene, ma per eliminare il male ci vuole tanta forza, soprattutto quando l’abitudine al peccato è diventata vizio.

Bisogna farsi violenza non solo per eliminare il male, ma anche per incominciare a camminare sulla via del bene.

  1. La Minima nell’impegno nella santità non deve trovare nessuna scusa, ma deve tirare diritto nella sua strada

Quando la Minima si prefigge una meta, si mette a camminare per raggiungerla. Le difficoltà devono essere eliminate. Deve andare a Dio e a Dio solo, non deve avere altri amori; deve annunziare Dio e Dio solo; deve essere strumento di Dio e di Dio solo nell’opera della evangelizzazione, della conversione e della salvezza.

Gesù ha detto: “Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli” (Mt 10, 32-33).

Oggi tutti abbiamo invece paura di farci il segno di croce, di entrare in Chiesa, di dire di essere cristiani!

Non ci devono essere scuse. Le scuse valgono per i pigri e per i fannulloni, ma non per gli apostoli pieni di zelo e di amore di Dio e del prossimo, non per gli eroi, né per i santi; valgono per gli uomini da nulla, che non vogliono far vedere di essere quello che sono e vogliono apparire quello che non sono, senza pensare che chi si scusa si accusa.

 

 

  1. L’impegno nella santità della Minima è un impegno specifico: seguire la strada indicata da san Francesco di Paola con la spiritualità minima

Io ci tengo molto al vostro essere minime. Chi è aviere non può fare il marinaio! Chi vuol fare l’aviere deve usare tutti i mezzi per farlo, mentre chi vuol fare il marinaio userà altri mezzi, altrimenti non diventerà né marinaio, né aviere. Spesso per imitare gli altri si tradisce il proprio carisma.

Voi Minime dovete percorrere la strada indicata da san Francesco di Paola e non un’altra strada; dovete esercitarvi nella virtù della penitenza e non nelle altre!

Sapendo che tutte le strade tracciate dai santi portano al paradiso, la Minima percorre la sua. Sapendo poi che chi si esercita in una virtù si esercita in tutte le virtù, la Minima si esercita nelle virtù fondamentali della spiritualità minima: penitenza, umiltà, preghiera, carità, obbedienza.

Noi abbiamo accettato una strada e un modello; se li lasciamo perdiamo tempo prezioso, che non si recupera mai più.

  1. L’impegno della Minima nella santità ha bisogno di un modello: il modello è sempre il Cristo, ma per noi è il Cristo imitato da san Francesco

San Francesco è un modello più vicino a noi. Egli ci dice con le parole di san Paolo:

“Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo” (1 Cor 11, 1).

Guardando Cristo come modello, potremmo aver paura, perché Egli è un modello perfetto, di santità infinita, e dire che nessuno è capace di fare ciò che ha fatto lui. Quando invece il modello è un uomo, è molto più vicino a noi, quindi possiamo avvicinarci di più a lui.

Siate miei imitatori, dice san Francesco, come io lo sono di Cristo. Questo Santo dobbiamo imitare e non altri Santi! Nelle virtù della spiritualità minima dobbiamo esercitarci, non in altre virtù!

La Minima imiterà san Francesco per testimoniare nella Chiesa la penitenza, l’umiltà e la preghiera che danno la carità. A queste virtù specifiche di san Francesco la Minima unirà anche tutti gli altri aspetti non indifferenti del mistero di Cristo, accettati e praticati da san Francesco.

La Minima per essere Minima deve essere Minima in tutti i suoi aspetti, sia quelli fondamentali e principali, sia quelli secondari.

Gli aspetti secondari integrano e fanno balzare in tutta la loro evidenza gli aspetti principali, tanto da dire, che se venissero a mancare farebbero perdere tutto il loro splendore. Sono delle sfumature, ma sfumature necessarie nella impostazione della vita spirituale.

Noi abbiamo uno stile che non è lo stile degli altri. Per avere questo stile bisogna seguire san Francesco non soltanto nelle virtù della penitenza, dell’umiltà, della preghiera, ma anche nel silenzio, nel nascondimento, nella mitezza, nell’amore alla solitudine, nella temperanza, nell’equilibrio, ma soprattutto nella considerazione del peccato con le sue conseguenze nefaste, e nella considerazione della grazia di Dio con le sue conseguenze sublimi nella vita di un uomo.

San Francesco ripeteva spesso: “Il peccato muove Dio all’ira”. È un concetto che ribadiva anche per iscritto. Ai grandi scriveva: Ricordatevi che il peccato muove Dio all’ira. Il peccato crocifigge nuovamente Gesù!

Queste cose, anche se non le dicono gli altri, noi le dobbiamo dire. Ecco lo stile della Minima! Per avere questo stile, ve lo ripeto, occorre non solo l’esercizio delle virtù principali, ma anche di quelle secondarie della spiritualità minima.

Esame di coscienza

 

Su queste sei riflessioni vi suggerisco un esame di coscienza:

– E tu in quali condizioni ti trovi?

– Sei impegnata nella santità? Vuoi veramente diventare santa? Usi tutti i mezzi che la Chiesa e le Costituzioni ti consigliano?

– Al momento giusto usi anche la violenza contro te stessa pur di raggiungere la meta della santità?

– Dici con sant’Agostino: Se questi e quelli ci sono riusciti, perché non posso riuscirci anch’io?

– Sei la Missionaria della Parola di Dio che vuole e fa, o la Missionaria delle scuse per non fare?

 

 

  1. Il mistero di Cristo vissuto dalla Minima si realizza nella sua interezza con l’accettare tutte le sofferenze che si presentano, sia quelle fisiche che quelle morali e spirituali

 

Tutta la vita di Cristo è un mistero. La Minima imita del mistero di Cristo: in senso largo, Gesù penitente; in senso stretto, Gesù nel deserto; in senso strettissimo, Gesù sulla via del Calvario, quindi la sua passione e morte.

Di Cristo noi imiteremo la virtù della penitenza, e in modo particolare l’aspetto orante e penitente di Gesù del deserto, e in modo particolarissimo la sua vita di passione e morte, perché nella vita di passione e morte c’è la sofferenza riparazione. La riparazione è propria di chi si mette al posto dell’altro per salvarlo. La riparazione è il sommo dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo.

L’accettazione della sofferenza è il segno esterno che la Minima vive il mistero di Cristo.

Se accettate la sofferenza significa che avete capito qual è il vostro posto nella Chiesa di Dio e qual è la strada che vi porterà alla santità.

Non ha forse detto Gesù a tutti: Chi non porta la propria croce non può essere mio discepolo? (Cfr. Lc 9, 23). A maggior ragione questo vale per la Minima, che con san Paolo deve poter dire: “Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi” (Col 1, 24).

Io mi metto al vostro posto – diceva san Paolo – perché voi possiate vivere nella grazia di Dio. Noi da Minimi dobbiamo arrivare alla riparazione, e vi si arriva per mezzo dell’accettazione, con l’aiuto di Dio, almeno di quelle sofferenze che vengono giorno per giorno.

Non è stata questa la risposta del Cristo a san Paolo: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza si manifesta nella tua debolezza” (2 Cor 12, 9)?

Volete la dimostrazione? Eccola!

– Chi accetta la sofferenza si esercita nell’umiltà, perché riconosce la sua miseria.

“Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un messo di satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia” (2 Cor 12, 7).

La sofferenza di questa tentazione metteva san Paolo nello stato di umiltà. L’umiltà è una specializzazione della Minima. La sofferenza dà l’umiltà.

– Chi accetta la sofferenza si esercita nella preghiera, perché chiede a Dio la forza di superare la tentazione.

“A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me” (2 Cor 12, 8).

Se la Minima accetta la sofferenza prega, se non l’accetta non prega.

– Chi accetta la sofferenza si esercita nella penitenza nei suoi tre aspetti: di conversione, di mortificazione e di riparazione.

“Egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo” (2 Cor 12, 9).

Le tentazioni si vincono nella grazia!

– Chi accetta la sofferenza si esercita nella carità e fa la volontà di Dio.

Accettando la sofferenza la Minima dimostra l’amore verso Dio; riparando dimostra l’amore verso il prossimo.

“Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole è allora che sono forte” (2 Cor 12, 10).

Mi compiaccio di queste sofferenze, dice la Minima, perché le offro al Signore per la conversione dei peccatori.

CONCLUSIONE

La sottolineatura che si fa nella spiritualità minima per vivere il mistero di Cristo è: accettare tutte le sofferenze che si presentano, perché nella sofferenza accettata e offerta c’è tutto il tesoro della virtù della penitenza, esercitata nella sua interezza.

Questo non toglie però che la Minima faccia altre penitenze per vivere la quaresima in modo completo e totale.

La spiritualità minima è simile ad una scala che parte dalla penitenza con i suoi tre scalini di conversione, mortificazione e riparazione; poi prosegue con le virtù fondamentali dell’umiltà, della carità, della preghiera, dell’ubbidienza, della fede, della sofferenza; poi sale con le virtù dello spirito penitenziale: mortificazione, lotte morali, carità fraterna, pazienza, temperanza, riparazione; si conclude, ed è la parte più alta, con l’accettazione di tutte le sofferenze che si presentano e di tutte le croci che alla Provvidenza piacerà porre sulle spalle della Minima e con l’offerta di tutto al Signore con dei fini specifici e particolari.

La Minima, non mi stancherò mai di ripeterlo, offre queste sofferenze con un atto eroico, altruistico di amore, per riparare il peccato dei fratelli, per la conversione dei peccatori, per aiutare Gesù a salvare le anime. Non esiste un atto di amore più grande di questo!