Cuore Immacolato di Maria, rendici simili al tuo Figlio – Lc 2, 41-48

Lc 2, 41-51 – Cuore Immacolato di Maria

Lc 2, 41-52 – La famiglia cristiana

da un’omelia di P. Francesco Chimienti O.M

LA SOFFERENZA, MAESTRA DI VITA

(Lc 2, 41-48)

 

  1. La sofferenza di ogni giorno, accettata e offerta, ha un grande valore penitenziale

L’accettazione quotidiana delle sofferenze e delle pene della giornata. Ogni giorno abbiamo qualcosa da soffrire. Che cosa dobbiamo fare: lamentarci, giudicare Dio, imprecare, bestemmiare o accettare? Accettare! Se vi lamentate significa che non avete accettato queste pene. Se state zitti significa che le avete accettate. È una croce che Dio ogni giorno ci mette sulle spalle. Dobbiamo dire: Signore, grazie di questa croce!

La sofferenza bisogna accettarla e offrirla al Signore, perché ogni sofferenza, che ha un valore umano, si tramuta in valore eterno, in valore divino, quando l’accettiamo e diciamo: Signore, te l’offro! È quello che fa il sacerdote nella S. Messa: prende il vino, che è un elemento naturale, e l’offre al Signore. Il Signore lo prende e lo tramuta in valore soprannaturale: diventa il sangue di Cristo.

Quindi se io accetto e offro la croce di ogni giorno, mi posso fare santo.

Non c’è mezzo migliore per santificarsi che l’accettazione della croce.

  1. Lo smarrimento di Gesù nel tempio

 Giuseppe è santo. Di lui si dice che era “giusto”, cioè viveva in grazia di Dio. Poi che cosa ha fatto? Ha accettato tutto. Nella festa di Pasqua lascia il suo lavoro e celebra la festa; prende la sposa Maria, prende il figlio e ogni anno fa quasi 120 chilometri da Nazaret fino a Gerusalemme. Si andava a piedi, c’era il disagio del viaggio, il digiuno, la polvere, la stanchezza, il sudore! “Sia fatta la volontà di Dio!”. Accettava la croce della giornata.

Questa volta è andato con Gesù e ha fatto le cose regolarmente; erano le croci di ordinaria amministrazione: mangiare, non mangiare, stancarsi, non stancarsi, fare la nottata in mezzo a una strada anziché a casa propria. Se non che, dopo un giorno di viaggio si accorge che non c’era Gesù con loro. Capite, è una croce, è una sofferenza quella di sapere che manca il Figlio. Per san Giuseppe e la Madonna poi si trattava non del figlio, ma del Figlio di Dio.

Gesù si è smarrito! Abbiamo fatto tanto per non farlo cadere nelle mani di Erode; ce ne siamo scappati, siamo andati a finire in Egitto, e ora? Chi l’avrà preso? È morto? È vivo? Si è smarrito? Voi capite, mille angosce! Sono tutte sofferenze che sono durate tre giorni. Il Vangelo traduce questa sofferenza, che si è aggiunta alle solite sofferenze del viaggio, con queste parole: “Tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo” (Lc 2, 48).

Sono cose che capitano anche a noi. Una notizia cattiva ci mette sotto sopra! Io ricordo la mia angoscia quando arrivava la notizia: tuo padre è ammalato. Io pensavo che mio padre era morto. Una sola volta non ho creduto che era morto, quando è morto davvero, perché il giorno prima ero stato da lui e lo avevo lasciato che stava bene.

Queste notizie, non dico che le abbiamo ogni giorno, ma di queste notizie è costellata la nostra vita. Ci sono delle croci, delle sofferenze ordinarie, che sono legate al nostro vivere di ogni giorno: dormire, vestire, freddo, caldo, mangiare, strapazzarsi, andare lontano, andare vicino, non ce la fai, non vedi, non senti, non ti puoi piegare, e ci sono le croci straordinarie di alcuni momenti della vita.

  1. La sofferenza è necessaria

 Gesù disse: Basta ad ogni giorno la sua pena, il suo affanno. Perché? Perché la sofferenza è l’unica realtà costruttiva che dura per l’eternità.

Solo con la sofferenza noi costruiamo la nostra vita spirituale. Chi non ha la sofferenza non è baciato da Dio, non può farsi santo. È impossibile farsi santi senza la sofferenza, perché la sofferenza è un valore; è il valore per mezzo del quale Dio costruisce la santità in noi. Quando un’anima ha sofferenze su sofferenze, croci su croci, là c’è la mano di Dio, là c’è la santità.

Nessun uomo realizza nella vita una missione, né realizza il suo avvenire senza una croce, senza una sofferenza. Più un uomo soffre e più raggiunge le mete più alte; meno soffre e meno raggiunge mete importanti.

Anche se il Signore vi benedice, come veramente vi ha benedetto, e avete la possibilità di poter disporre di qualche milione, dovete educare i vostri figli a privarsi. Non gli dovete dare tutto quello che vogliono, dovete dare di meno, perchè si devono abituare a tenere la pancia vuota. Non gli dovete dare la birra, non gli dovete dare l’aranciata, non gli dovete dare tutta questa roba che ha reso molli i vostri figli. Un figlio molle non è capace di fare niente. Per ogni colpo di vento c’è un raffreddore. Invece chi è abituato a camminare scalzo in mezzo alla strada, quando fa freddo e quando fa caldo, quando piove e quando nevica, colpi di tosse non ne ha mai. Può mangiare pure la terra, la digerisce.

Noi abbiamo vissuto questa vita. Non è vero che la privazione e le sofferenze abbreviano la vita; allungano la vita.

Togliete la sofferenza ad un uomo e l’avete reso un infingardo. Non è capace a fare niente; deve andarsi a prendere la droga per fare qualche cosa nella vita. Poi vengono i genitori a piangere. A me lo venite a raccontare? Voi avete trattato i figli così. Gli avete dato la motocicletta, l’automobile, la prima ragazza, la seconda ragazza, gli avete dato tutto. Adesso piangete? Io non ho più niente da dirvi. Vi consolo, tutto quello che volete, ma piangete il vostro peccato.

Così è nella vita spirituale. Il vero valore costruttivo che dura per l’eternità è la sofferenza. Gesù infatti ha detto: Beati voi che soffrite, perché la vostra mercede è grande nei cieli. Tutta la sofferenza si traduce in moneta, parlando umanamente. Parlando con linguaggio spirituale dobbiamo dire che si traduce in meriti per l’eternità. Troveremo tutto là. Allora capiremo, come disse san Paolo, quale valore aveva la sofferenza sulla terra e diremo: che scemo sono stato a rifiutare la sofferenza, a non accettarla, a non offrirla quando Dio me la dava, giorno per giorno.

La sofferenza è una moneta. Dovete accettare la sofferenza di ogni giorno con la gioia di un povero che riceve immense ricchezze.

conclusione

 Accettate le croci e vedrete quanti meriti vi sarete accumulati in paradiso. Alla base della sofferenza però ci deve essere la grazia di Dio. Dovete stare in grazia di Dio, perché se non state in grazia di Dio, quella sofferenza non vale niente. Avete il sacco, ma è sfondato. Mettete la roba da sopra ed esce da sotto.

Questo è ciò che ci insegna san Giuseppe, oggi. Il lavoro ha un valore? Sì. Costruisce il tuo avvenire, la tua santità che durerà per l’eternità. Il lavoro è sofferenza. Accettate tutto, voi che avete la grande grazia di vivere in grazia di Dio. Accettare le pene e le sofferenze di ogni giorno e offrirle al Signore.

Questa penitenza vi consiglio di farla ogni giorno di quaresima, a Pasqua, a Pentecoste, a novembre, a dicembre, sempre; perché sono valori infiniti che Dio dà ad ogni uomo per costruirsi un avvenire intramontabile e soprattutto pieno di grazia.

San Paolo diceva: quando sono andato in paradiso – perché lui l’ha avuta questa grazia di andarci col corpo – ho visto che la sofferenza di quaggiù non è paragonabile alle ricchezze immense che Dio ci ha riservato per ricompensarci della sofferenza che abbiamo accettato qui sulla terra.