Quando sono debole, allora sono forte! – 1Sam 15, 22-23 – Mc 2, 18-22

Mc 2, 18-22 – Il vecchio e il nuovo nella Chiesa di Dio

da un ritiro tenuto da P. Francesco Chimienti O.M.

16.06.1974

 

FONDAMENTO DELLA PENITENZA

 È  RICONOSCERSI PECCATORI

(1 Sam 15, 22-23)

 

I. E’ difficilissimo riconoscersi peccatori

1. Saul non si riconosce peccatore

In genere, quando io affronto questo argomento parlo del peccato di Davide, dell’intervento di Dio, della petizione di perdono da parte di Davide e della elargizione del perdono da parte di Dio. Questa volta invece vi parlerò di un uomo che si è ribellato a Dio, di Saul, che è un consacrato. Ha peccato, ma ha sempre giustificato il suo peccato. Di tanto in tanto ha chiesto perdono, ma non ha avuto il cosiddetto cambiamento di vita, che noi chiamiamo conversione.

Avrei voluto leggervelo io, ma lo farete voi; è il primo libro di Samuele; ve lo leggete e fate le vostre considerazioni.

Vi parlo di Saul. Seguiamolo nella sua storia.

Chi è Saul? Un contadino.

Il Signore quando sceglie non guarda né il nome, né il cognome, né la tribù, né la paternità. Era figlio di contadino, poteva pensare di diventare il re d’Israele? Non lo pensava nemmeno. È stato eletto in un modo straordinario. Dio lo aspettava ad un angolo della strada. L’occasione è data dalla perdita delle asine del padre. Saul va in cerca di queste asine; cammina cammina e arriva nel luogo dove si trovava Samuele. Il servitore dice a Saul: Perché non andiamo a interpellare questo uomo di Dio? Vanno da lui.

Il Signore aveva rivelato a Samuele che quest’uomo doveva essere il re d’Israele, per cui lo chiama in disparte e lo unge re in privato. Poiché si trattava di una cosa straordinaria e Saul non se l’aspettava, dice: Chi sono io per poter essere il re d’Israele? Sono della tribù di Beniamino, quindi l’ultima delle tribù. Beniamino, voi sapete era l’ultimo dei figli di Giacobbe e quindi era l’ultima tribù d’Israele.

La mia famiglia? La mia famiglia è l’ultima delle famiglie della tribù d’Israele.

Io? Un contadino.

Egli dice proprio questa espressione, che noi diciamo nella liturgia della festa di san Francesco, nell’Ufficio: “Minimis in domo patris mei”, io sono il più piccolo della casa di mio padre.

La mia osservazione è questa: si riconoscono i nostri valori prima di essere chiamati ad essere qualche cosa; poi ce ne dimentichiamo. Dopo che il Signore ci ha dato il dono, lo mettiamo da parte e diciamo che è frutto nostro.

Questo è il vero Saul, quello che riconosce la sua umile condizione. Ecco perché bisogna ritornare sempre alle origini!

Poiché si trattava di una cosa straordinaria e Saul ci credeva ben poco, il Signore per mezzo di Samuele gli dà tre segni. Gli dice: ritornando a casa tua, troverai degli uomini che ti daranno da mangiare; troverai degli uomini che diranno che le asine sono state già trovate; alla fine troverai dei profeti e tu profeterai con loro.

Così fu! Seppe che le asine del padre erano state ritrovate e che adesso era preoccupato per lui. Incontrò veramente delle persone che portavano dell’olio, della farina, del vino e gli offrirono da mangiare; e veramente incontrò dei profeti e lui profetizzò con loro. Arrivato a casa trovò le asine.

Samuele gli aveva anche detto: quando sarà dato ordine di riunirsi in Galgala, che era il luogo dove si dovevano riunire tutti i capi tribù per eleggere il re, vieni anche tu. Arrivò l’ordine e tutti andarono in quel luogo per eleggere il re. Nessuno sapeva chi sarebbe stato il re; lo sapeva solo Samuele, ma per rivelazione.

Quale metodo usa Samuele? Il metodo naturale. Si riuniscono, ma Saul non crede ancora ai suoi occhi, non crede alla rivelazione!

Si riuniscono le dodici tribù, e come al solito, si procede al sorteggio. Da quale tribù verrà fuori il re?

Si sorteggia ed esce fuori la tribù di Beniamino.

Si sorteggiano della tribù di Beniamino i capi famiglia, ed esce fuori la famiglia di Saul.

Della tribù del capostipite esce fuori Cis, da Cis sorteggiato esce fuori Saul!

Si cerca Saul, non c’è! Saul per umiltà, non si credeva degno di essere il re d’Israele e si era nascosto. Era autentica e vera umiltà, alla quale umiltà dobbiamo sempre tornare!

Lo cercano, lo trovano e lo proclamano re. Eletto, ritorna a casa sua a fare il contadino.

Poi, come sapete, il Signore lo investe di questo carisma quando viene fuori la lotta dei Filistei.

2. Saul giustifica il suo peccato

Dinanzi all’attacco dei Filistei tutti scappano, lui invece lascia i buoi e l’aratro, si mette a capo dei soldati, va contro i Filistei e li vince, li sbaraglia. Dio è con lui. Era un contadino, ma quando sbaraglia i suoi nemici, i Filistei, si monta la testa. Allora si crede il vero re; crede che il combattimento è dipeso da lui, crede che la vittoria è venuta perché lui è stato tanto bravo, tanto valido che ha vinto e stravinto.

Questa è la mia storia! Ognuna di voi farà la sua storia, perché questa è la storia dell’anima consacrata, perché Saul è un consacrato del Signore. Dalla superbia poi si passa al peccato!

In un secondo attacco contro i Filistei, poiché non si poteva attaccare battaglia se prima non si offriva il sacrificio a Dio, si aspettava Samuele. Passano sette giorni e Samuele non si presenta. Allora Saul, credendosi oltre che re anche sacerdote, offre il sacrificio. Non aveva nemmeno finito di offrire il sacrificio che compare Samuele, il quale nel nome di Dio lo rimprovera: Dio non è più con te!

Ecco la storia dolorosa di Saul; la mia storia dolorosa! Anziché riconoscere il peccato, dice: Tu non c’eri! Il sacrificio lo dovevamo offrire e io ho fatto di necessità virtù.

Si scusa, cioè giustifica il suo modo di operare. Il suo carisma era quello di essere re e non sacerdote, ha invaso il carisma dell’altro; ma quello che è ancora più grave, non riconosce il suo peccato.

Poi c’è stata  ancora  un’altra  trasgressione. Dio gli aveva  detto  che 

doveva distruggere tutti i Filistei, e lui per essere più santo di Dio stesso, più puro di Dio stesso, ordina ai soldati di non mangiare: noi non entreremo nei nostri accampamenti e non mangeremo fino a quando non avremo distrutto il nemico.

Aveva fatto di più di quello che Dio aveva chiesto. Il Signore aveva chiesto di distruggere i propri nemici, invece lui diede ordine ai soldati di non mangiare, e voi sapete che chi non mangia non può rendere come colui che mangia, e difatti non riuscirono a distruggere i Filistei. 

La terza disubbidienza che fece fu quando il Signore gli disse: io ho dato nelle tue mani Amalek, distruggi lui e tutta la città, distruggi tutto, non soltanto gli uomini, ma anche gli animali.

Andò contro Amalek, ma purtroppo non distrusse tutto. Gli animali e gli armenti più pingui, se li prese e se li conservò, mentre gli altri furono distrutti. Questo dispiacque tanto al Signore, che gli tolse il regno.    

Saul, anche se per un attimo riconosceva il suo peccato, si giustificava sempre. Se voi leggete la pagina del rimprovero di Samuele, vedrete che fino all’ultimo momento Saul si giustifica, dicendo che è stato il popolo, lui non c’entrava! “Io ho fatto come Dio ha voluto!”. Giustificava sempre il suo operato; non riconosceva mai il suo peccato.

“Ho serbato questi armenti per offrirli in sacrificio al Signore”. Il Signore non accettò questa giustificazione perché voleva l’ubbidienza e non il sacrificio, non le grandi opere. A lui non importano le grandi opere!

3. Dio rigetta Saul

“Il Signore forse gradisce gli olocausti e i sacrifici come obbedire alla voce del Signore? Ecco, l’obbedire è meglio del sacrificio, l’essere docili è più del grasso degli arieti. Poiché peccato di divinazione è la ribellione, e iniquità e terafim l’insubordinazione. Perché hai rigettato la parola del Signore, Egli ti ha rigettato come re” (1 Sam 15, 22-23).

Era la condanna!

Cosa vuole Dio? Che si ascolti lui e si faccia come lui dice; non vuole giustificazioni del proprio operato, ma che si riconosca il proprio peccato.

Quest’uomo ha iniziato col dire che non era degno di essere consacrato re, perché apparteneva all’ultima delle tribù e all’ultima delle famiglie e che l’arte sua era l’ultima delle arti, contadino; ma poi, diventato re, ha avuto invidia e gelosia degli altri.

Quando Davide uccide il gigante Golia, poiché tutti cantavano gloria a Davide, diventa furioso, geloso, dice: che cosa gli manca? Solo il regno! Non voleva nessun altro superiore a sé.

Voi conoscete tutte le persecuzioni messe in atto contro Davide! Di tanto in tanto si pentiva, ma ricadeva sempre nella stessa colpa.

4. chiede perdono solo chi si riconosce peccatore

È una storia negativa, ve l’ho voluta raccontare perché Saul era un consacrato. È stato rigettato da Dio e poi è morto suicida, come Giuda. S’è gettato sopra la sua spada ed è morto senza chiedere perdono e misericordia a Dio. Non sappiamo che cosa ne sia stato di lui, ma in tutti i modi questa è stata la conclusione. Un inizio buono, ottimo; una fine miserevole!

Leggete passo passo la storia di Saul; io vedo la mia, proprio la mia storia; si tratta di cambiare i termini, ma altrimenti è la stessa.

Sono un chiamato, non solo, ma un consacrato. Il Signore mi ha dato i segni palesi del suo intervento nella mia storia. I segni sono diversi: a lui ha dato quei segni, a noi altri segni.

Poi abbiamo fatto il passo, e quando ci siamo consacrati, anche noi abbiamo detto: chi sono io che tu, o Signore, ti dovevi benignare tanto per me? Però dopo, nella vita di consacrazione, ci siamo creduti di più di quello che in realtà eravamo. È il grande peccato mio, è il grande peccato delle anime consacrate: la presunzione. Noi siamo tutti presuntuosi, tutti! Ci mettiamo in cattedra; gli altri sono peccatori, noi no; gli altri peccano, noi no! Facciamo il ragionamento di Simone il fariseo: se veramente fosse profeta saprebbe chi è questa donna che gli sta baciando i piedi, che glieli sta ungendo con l’unguento.

Gesù allora lo riporta alla tremenda realtà: tutti siamo debitori. Non importa se alcuni sono debitori di cinquecento milioni ed altri di cinquanta milioni, ma tutti siamo debitori. Questa è la realtà! Non puoi dire niente nei riguardi di questa donna peccatrice, perché lei è uguale a te e tu sei uguale a lei.

Anche a coloro che avevano le pietre in mano per scagliarle contro l’adultera, Gesù dice la stessa verità: anche voi siete peccatori come lei, tanto è vero che vi sfido.

Non è vero che esistono distinzioni di peccato; che i peccati contro il sesto comandamento sono dei peccati degni di essere scontati dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini, e quelli invece contro il primo, il secondo, il terzo, il quarto non sono peccati, o sono peccati che si possono fare. Non è vero! Non è la qualità e non è la quantità che cambia la nostra posizione di peccatori, basta un solo peccato per essere peccatori. Dio questo l’ha detto per mezzo del profeta Ezechiele: se tu, giusto, avrai commesso un solo peccato, per quel peccato ti saranno cancellati tutti i meriti e andrai all’inferno. Se tu, peccatore, avrai commesso tantissimi peccati e avrai chiesto perdono a Dio, per quel perdono ti saranno cancellati tutti i peccati e andrai in paradiso.

È difficilissimo riconoscersi peccatori, e io penso che questa sia la più grande grazia che il Signore possa fare a ciascuno di noi. È difficilissimo! Non dovete credere che io con tanta facilità accetto di essere peccatore. No, io non lo accetto! E quando qualcuno mi dice che ho commesso una mancanza, io mi giustifico sempre. Indirettamente dico: No, ho fatto bene, non ho sbagliato! E trovo tutte le pezze a colore per giustificare il mio operato.

Se mi guardo dinanzi a Dio sono sporco; ma questo stesso uomo, che sono io, che si guarda dinanzi a Dio e vede che è sporco di peccato, quando si riflette nei fratelli, dice ad alta voce, guardate a quale punto di presunzione e di superbia si arriva, che gli altri sono peccatori e lui è santo. Lo dice ad alta voce: Io vado a Messa, io faccio la Comunione, dico l’Ufficio, dico il rosario! Questo povero Dio a un certo momento si deve togliere il cappello e dire: Scusami, posso venire nel tuo regno? È tremendo! 

Secondo me, l’ostacolo più grande per ricevere il perdono di Dio è questo.

Siamo nell’anno del giubileo, sapete chi non lucra il giubileo? La stragrande maggioranza degli uomini, compreso me, perché non si riconosce peccatore.

L’alunno che riconosce di aver fatto tanti errori nel compito, solo quello, potrà avere l’insegnamento del professore. Ma chi non riconosce di aver sbagliato non va nemmeno dal professore, per cui ignorante era e ignorante rimane.

Così, chi riconosce qualche cosa sì e tante altre cose no, e qualche cosa sì, ma la giustifica, come ha fatto Saul, non viene perdonato.

Tutte le volte che giustifichiamo il nostro operato siamo superbi, siamo bugiardi, perché la nostra realtà è quella che è dinanzi a Dio, non dinanzi agli uomini. E purtroppo, noi le cose più grosse le facciamo di nascosto degli uomini, per cui gli altri non sanno niente dei guai nostri, mentre Dio conosce, e le cose che appaiono, e le cose che non appaiono. Dio scruta i nostri cuori, e tutte le nostre cose sono svelate dinanzi a lui; sono nude, dice san Paolo. Dobbiamo abituarci a guardare le nostre cose con gli occhi di Dio.

Per Saul non c’è stato il perdono di Dio, perché non ha chiesto perdono, cioè non ha riconosciuto il suo torto. Per chi invece riconosce il suo torto, fosse pure quell’uomo che stava alla destra di Gesù sul Calvario con una vita di peccati, di omicidi, di rivoluzioni, di latrocini, il buon ladrone, c’è la misericordia di Dio: Oggi stesso sarai con me in paradiso! È il riconoscimento del proprio stato che distrugge il peccato, ma chi non lo riconosce non distrugge niente.

CONCLUSIONE

Se volete lucrare il giubileo mettetevi a nudo dinanzi a Dio. È l’unico modo, altrimenti è impossibile; andremo a lucrare il giubileo ma per modo di dire, faremo una buffonata.

Non giudicatevi come vi giudicano gli uomini, perché di voi gli uomini dicono: che brava signorina! Giudicatevi come vi giudica Dio.

Per lucrare il giubileo dobbiamo riconoscerci peccatori. Dobbiamo prendere lo specchio di Dio e rifletterci in Dio, dove non esistono distinzioni di comandamenti.

L’errore delle anime consacrate è questo: sono convinte che i peccati sono solo quelli del sesto comandamento. Questo è l’errore nostro, non è l’errore di quelli che stanno nel mondo; per quelli il sesto comandamento è uguale al settimo: non rubare e al quinto: non ammazzare.

Per noi che ci consacriamo al Signore, se uno commette un peccato di superbia può vivere con noi, può fare ciò che vuole!

Vedete, se l’abate Franzoni se ne fosse andato con una donna, tutti saremmo stati scandalizzati; ma poiché con una donna non se n’è andato, ma dice tutte quelle sciocchezze che dice, don Franzoni è degno di essere seguito! I peccati di superbia, di non ubbidienza al Papa, ai Vescovi non c’entrano! E invece no, sono i più gravi! Gli angeli stanno nell’inferno per un peccato di superbia, perché non hanno ubbidito, non hanno accettato il piano di Dio.

Saul sta all’inferno, se possiamo dire questo, perché non ha ubbidito a Dio, non perché si è preso quattro mogli o cinque mogli!

Le colpe contro il sesto comandamento sono le più scusabili, è debolezza umana; sono i peccati di superbia i più gravi peccati.

Chiediamo a Dio il dono della contrizione del cuore!