Se conoscessi chi è Dio…saresti tu a pregarlo di entrare nella tua vita – Lc 14, 25-33

da un’omelia di P. Francesco Chimienti O.M.

Martina Franca, 04.11.1971

LE CONDIZIONI PER SEGUIRE GESU’

(Lc 14, 25-33)

Le condizioni per essere discepolo di Gesù sono tre: prima di tutto si deve porre Gesù al di sopra di ogni cosa e posporgli tutto il resto; secondo: si deve portare la croce con Gesù e seguirlo; terzo: rinunciare al possesso dei beni, di tutti i beni.

Gesù mette però una premessa: prima di prendere la decisione di seguirlo, dobbiamo calcolare se veramente siamo chiamati e se veramente siamo capaci di poterlo seguire. Però presa la decisione non si discute più.

premessa

Bisogna prendere una decisione ponderata. Vi ripeto le sue parole: “Chi di voi, volendo edificare una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento?” (Lc 14, 23). Si tratta di un tale che vuole costruire una torre. Ha un progetto, forse ha chiamato anche un ingegnere o un architetto al quale ha chiesto di fargli il progetto e di indicargli la spesa. Se l’ingegnere o l’architetto gli ha detto l’ammontare della spesa, ma lui non dispone di questa somma, dice Gesù, sarebbe da sciocchi intraprendere questo lavoro, perché arrivato a un certo punto si deve fermare; e non vale la pena incominciare un’opera per non terminarla.

Gesù porta un secondo esempio, quello di un re che vuol combattere un altro re, prima però calcola quali sono i suoi soldati e i suoi mezzi. Se ce la fa, vale la pena di intraprendere la guerra; ma se vede che non può vincere, è inutile tentare, perché con diecimila uomini non può andare contro ventimila uomini, deve mandare degli ambasciatori a chiedere la pace (cfr. Lc 14, 31-32).

Non bisogna intraprendere un’opera se prima non si calcola se si è in condizioni di portarla a compimento.

Così è per noi. Abbiamo avuto senza dubbio una grande grazia, quella della vocazione, ma si devono avere dei segni umani. Non è per intuito che si segue Gesù. Se vedo veramente che mi ha chiamato dirò il mio sì; ma se non vedo con chiarezza che Dio mi ha chiamato, questo sì non lo devo dire. Ecco perché bisogna vagliare le vocazioni e dare tutto il tempo perché vedano umanamente se veramente Dio le chiama, e se le chiama bisogna vedere se hanno i mezzi necessari per realizzare questa vocazione.

I tre pilastri fondamentali su cui si fonda il nostro Istituto sono: la consacrazione, l’apostolato, la spiritualità minima.

Il primo è la consacrazione. Quindi, sei capace di dedicare veramente la tua vita? Se sei capace vai avanti, assumerai i vari impegni: la Messa, la comunione, il rosario, lo spirito di preghiera, l’apostolato. Se non ce la fai, cioè vedi che tutta la tua vita su questo primo pilastro non la puoi costruire, è inutile intraprendere questa strada.

Il secondo pilastro è l’apostolato catechistico. Se una dice: io non sono fatta per fare il catechismo, non è fatta per noi. Devi calcolare prima, non dopo, perché dopo non c’è più niente da fare. È una soluzione ridicola quella di chi dice: io adesso non ce la faccio, me ne vado. No, era prima che dovevi vedere se avevi i requisiti richiesti.

La terza condizione è voler seguire Gesù sulla via dell’umiliazione; via che ha tracciato Gesù, ma che ha seguito san Francesco. La spiritualità minima prende a modello il Cristo umile: l’umiltà dell’incarnazione, l’umiltà della passione, l’umiltà dell’Eucaristia.

Ci sono queste tre condizioni? Vai avanti, Dio è con te; se non ci sono queste tre condizioni, la tua non è una decisione ponderata.

Prima di dire sì riflettete, ma non cinque minuti o dieci minuti; riflettete giorni, mesi, anni; però una volta detto il sì lo dovete mantenere, cioè dovete essere consequenziali.

Gesù dice: mi volete seguire? Pensate prima il passo che dovete mettere.

Gesù dice: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo” (Lc 14, 26).

Innanzitutto vi vorrei dire che il termine odiare che usa san Luca, è un termine semitico, che non sta ad indicare l’odio di cui parliamo noi, cioè il contrario dell’amore, ma significa mettere al secondo posto. Volendo tradurre nel linguaggio italiano dovremmo dire: “Chi ama più di me il padre, la madre, la sposa e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo”. In altri termini, per seguire Gesù lo si deve porre al di sopra di ogni cosa e posporgli tutto il resto, fosse anche la propria vita. Non si tratta quindi di odiare papà e mamma, per carità; bisogna amarli, ma non più di Gesù; al secondo posto.

Gesù vuole le anime tutte per sé; è esclusivo nell’amore, vuole l’amore totale. Nella S. Scrittura l’anima è paragonata alla sposa, Gesù è paragonato allo sposo, la morte è paragonata all’incontro della sposa con lo sposo. La sposa si è preparata per vent’anni, trent’anni; quando il vestito è pronto, quando ha acceso la lampada e tutto è pronto lo sposo la introduce nel convito eterno, nel banchetto eterno dove c’è la gioia eterna.

Lo sposo alla sposa chiede l’amore e un amore totale ed esclusivo. Qualche volta c’è stata qualche ragazza, che dopo essersi sposata ha continuato ad amare papà e mamma. In casa sua sono successi degli incidenti perché lo sposo ha detto: Tu devi amare me, ti devi interessare di me, non di tuo padre e di tua madre; gli andremo a fare la visita, ma tu devi interessarti di me, le cose le devi dire a me e non a tuo padre e a tua madre. Questo è il cosiddetto amore totale ed esclusivo.

Ve la sentite di essere esclusive e totali nell’amore, di porre cioè Gesù al di sopra dei vostri pensieri, le vostre parole e azioni?

Qualche santo ha preso come programma questa frase: Solo Dio. Non significa che le altre realtà terrene non esistono, ma soltanto che per Dio ha fatto qualunque sacrificio. Questo dovrebbe essere il vostro programma: Solo Dio! Solo Gesù!

Quando vi trovate a dover decidere per una determinata azione e ci sono due interessi contrastanti, uno umano e l’altro divino, deve vincere quello divino.

– Padre, ma si tratta della mia vita!

Anche la tua vita deve essere posposta agli interessi di Dio.

– Si tratta di papà e mamma, di fratelli, di sorelle, figli, spose!

Ebbene, Gesù dice: Io prima di tutto!

La psicologia dice che quelle donne e quegli uomini, che raggiunta la maggiore età sono legati a papà e mamma come lo erano a dieci anni, a quattordici anni, sono immaturi. L’attaccamento a papà e mamma è segno di immaturità, cioè si è eternamente fanciulli, bambini. Invece il distacco da papà e mamma è segno di maturità.

Se non volete ascoltare le parole di Gesù, ascoltate almeno il rimprovero della psicologia. Io penso che sentirsi dire immaturo è offensivo.

La rottura con papà e mamma deve avvenire. Le vostre sorelle l’hanno fatta col matrimonio, e difatti non volevano che le vostre sorelle e i vostri fratelli si sposassero, hanno pianto e hanno sofferto; come non vogliono che voi vi allontaniate da loro. Ci deve essere questa rottura; fatta la rottura potete fare quello che volete.

Ditelo sempre ad alta voce: i diciotto anni sono passati. Io sono me stessa, e della mia anima devo rendere conto soltanto a Dio.

Quando il Signore ci prova con la sofferenza, con la croce – dire croce significa tutto ciò che è negativo – non ve la prendete con nessuno, ma proprio con nessuno, neanche con voi stesse, né con Dio, è una scelta. Queste parole sono per tutti, per noi sono un motivo in più per essere coerenti, cioè per non lamentarsi.

Quando io prendo un bambino e lo battezzo, appena arriva in chiesa gli faccio un bel segno di croce sulla fronte; e papà e mamma, padrino e madrina fanno su quel bambino un altro segno di croce. Dopo averlo battezzato la prima cosa che dico è questa: sei diventato fratello di Gesù Cristo, seguace di Gesù Cristo; prendo il sacro crisma e gli faccio una bella croce sulla fronte.

Seguire Cristo  significa prendere la croce: siate coerenti; non vi dico altro.

Vedete, io sono sacerdote e ho avuto la possibilità di incontrare sia gente che crede, sia gente che non crede, sia gente apparentemente infelice, sia gente che apparentemente sembra felice, felicissima, almeno io la consideravo tale; ma vi dico che tutti portano la croce, veramente tutti, sia quelli che credono, sia quelli che non credono, sia quelli che noi crediamo felici, sia quelli che noi crediamo infelici. Quanto è diversa la vita da quello che appare! Gente che io conoscevo felicissima, il confessionale mi ha detto che era infelice; aveva la sua croce.

Gesù dice: “Chi non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo” (Lc 14, 27). Vuoi essere mio seguace, vuoi essere mio discepolo? Devi prendere la tua croce e mi devi seguire.

Per noi c’è un motivo in più: vogliamo seguire Gesù sofferente, Gesù umiliato, sia come consacrati, sia per la nostra spiritualità minima. Non vi lamentate. Gesù ha detto: con questa croce tu diventerai santo, con questa croce tu santificherai gli altri. Guardate la vita di Gesù. Gesù non ha salvato gli altri con la vita privata – permettetemi questa espressione per farmi capire, perché tutta la vita di Gesù è stata una vita di salvatore – né con la vita pubblica né con la vita di risurrezione, ma con la vita di sofferenza, di passione.

“Per la tua santa croce hai salvato il mondo”, diciamo nella liturgia. È bastato un giorno di sofferenza e di morte per salvare il mondo.

Noi vogliamo salvare il mondo, vogliamo aiutare Gesù a salvare le anime senza la croce? Ma stiamo scherzando? Gesù sulla croce e noi a passeggio?

Non si salva il mondo senza la croce, non è possibile. È vero che il mondo l’ha salvato Gesù; ma io compio in me quello che manca alla passione di Cristo.

Noi facciamo parte del corpo mistico di Cristo; ciascuno di noi deve fare la sua parte, la parte che gli è stata affidata da Dio. A ciascuno di noi Dio ha affidato una missione, grande o piccola, però ciascuno di noi deve fare la sua parte. Queste sono le condizioni, questa è la moneta che il Signore ci dà per salvare il mondo, per salvare noi stessi, per redimere noi stessi e gli altri.

Presumere di salvare il mondo per mezzo dell’apostolato, dell’azione, non è secondo il pensiero di Dio. Preghiera e sofferenza salvano il mondo; l’azione ci vuole pure, ma basta un sorriso all’uomo che paga e soffre per convertire i fratelli.

  1. Pio era un uomo sofferente, e non era lui che andava a trovare le anime, erano le anime che andavano a trovare lui. Bastava vedere come celebrava la S. Messa per sentirsi commossi. Ha avvicinato tante anime, ma non ha mai fatto discorsi. Era l’uomo di pochissime parole ed esigeva che anche gli altri dicessero pochissime parole a lui; però il suo comportamento, la sua sofferenza era eloquente.

L’uomo di Dio è l’uomo che si immedesima con Gesù, che prende la sua croce e lo segue. Chi non prende la sua croce non può essere discepolo di Gesù. Le chiacchiere non valgono niente.

Chi non rinuncia a tutto quello che ha, non può essere discepolo di Gesù, perché Gesù deve essere al di sopra di tutto e di tutti. Le ricchezze sono state sempre un ostacolo alla santificazione. Gesù è arrivato a dire queste parole: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, anziché un ricco entri nel regno dei cieli.

Se noi abbiamo un episodio negativo nella sequela di Gesù è l’episodio del giovane ricco, che pure faceva tutto il suo dovere e osservava tutti i comandamenti; ma quando Gesù gli disse: Se vuoi essere mio discepolo va’, vendi tutto quello che hai, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi, si è ritirato. La ricchezza è stata di ostacolo alla sua santità.

L’uso delle ricchezze è consentito; non è necessario l’abbandono di tutti i beni; l’essenziale è che si abbia sempre il cuore distaccato dai beni della terra, non solo dai soldi, ma dall’uso di tutte le cose.

Per compiere il proprio dovere si deve essere disposti anche a fare dei sacrifici, a dormire in quel determinato luogo, su quel determinato letto, senza letto, a non dormire, a viaggiare, a soffrire il freddo, il caldo, pur di fare il bene. Questo significa il distacco dai beni!

In altri termini, al di sopra di tutto e di tutti ci deve essere Gesù, e si deve essere disposti a fare la rinuncia di tutti i beni, quando il Signore lo chiede.

I beni sono stati messi a nostra disposizione, ma non devono essere dei valori assoluti. Il loro uso è relativo, e per compiere il bene bisogna essere disposti anche a soffrire.

Adesso applichiamo queste parole al nostro santo Padre san Francesco.

Abbiamo detto che prima di tutto bisogna prendere una decisione ponderata. San Francesco ha preso una decisione ponderata per la sua vita? Sì. Ha discusso della sua vocazione a S. Marco Argentano con i Frati Minori e quando ha fatto il pellegrinaggio, ha pregato molto e ha chiesto consiglio. Guai a colui che è solo senza la guida!

Quando è andato a Monte Luco ha avvicinato gli eremiti e ha esposto loro il suo proposito di farsi eremita. Non so quale risposta gli abbiano dato quegli eremiti; ma è certo che si è raccomandato per la scelta del suo stato a san Pietro quando è andato a Roma, alla Madonna quando è andato a Loreto, a san Francesco d’Assisi quando è andato ad Assisi.

Sulla via del ritorno è andato a Monte Cassino per sottoporre nuovamente la sua vocazione al consiglio prudente dei Frati Benedettini, dato che tutti dicevano che era troppo piccolo per intraprendere quella strada. Quando ha avuto la risposta affermativa è tornato a casa.

Ha posto Gesù al di sopra di ogni cosa e ha posposto a lui papà e mamma, fratelli e sorelle. Ha lasciato tutti e se n’è andato al rifugio.

San Francesco ha posposto gli interessi della sua famiglia alla sua santificazione, alla sequela di Gesù? Sì. Non dovete credere che papà e mamma, che hanno avuto questo figlio dopo sedici anni di matrimonio, avevano piacere che se ne andasse e si allontanasse da casa loro. Hanno fatto di tutto perché non se ne andasse, tanto è vero che lo hanno accompagnato in quei luoghi e da quelle persone che potevano dire una parola definitiva sulla sua vocazione. Quando poi ha conosciuto che quella era la volontà di Dio, li ha lasciati con le lacrime agli occhi, ma se n’è andato.

Noi conosciamo un episodio, con certezza, della sua vita: quando dovette ubbidire al Papa per andare in Francia. L’ostacolo maggiore lo trovò in sua sorella Brigida che non voleva che il fratello si allontanasse. Diceva: il miracolo glielo puoi fare da qui; prega per lui. Non voleva che andasse via. San Francesco mise da parte tutti gli interessi e l’affetto della sorella e partì per la Francia.

In altri termini, la realizzazione della nostra vocazione e della nostra missione non deve essere subordinata all’affetto di famiglia che pure è sacro. San Francesco lo ha fatto: prima Dio, poi gli altri; prima Dio, poi gli affetti e persino la propria vita.

Pur di dimostrare l’amore a Dio, san Francesco non ha mai guardato alla comodità del suo corpo, ha dormito per terra, ha bevuto l’acqua dei fiumi, ha mangiato l’erba dei campi, ha vestito in una maniera rozza; è stato penitente.

Portare con Gesù la croce e seguirlo. San Francesco si è preso la sua croce e ha seguito Gesù. Ogni Santo imita un aspetto della vita di Gesù. Si può imitare la vita nascosta, la vita pubblica, la vita di preghiera, di predicazione; san Francesco ha preferito la vita sofferente.

Non pensate alla cosiddetta sofferenza fisica – anche quella san Francesco ha voluto realizzare in se stesso per mezzo della mortificazione e per mezzo della flagellazione – ma alla sofferenza interiore che ha sempre accettato.

A lui piaceva vivere in una grotta e in un luogo fisso senza muoversi mai, gli piaceva anche pregare sempre, invece Dio gli ha indicato un’altra strada diversa da quella verso cui era inclinato: non la grotta, ma il convento, non un luogo ma l’Italia e la Francia.

San Francesco ha seguito Gesù nella via dell’umiltà, della sofferenza, della croce, e ha scelto l’ultimo posto per sé e per i suoi figli.

Rinunciare al possesso di tutti i beni. A quindici anni lascia proprio tutto, e ai suoi genitori non chiede niente.

Quando vado a Paola ed entro in quella grotta, la grotta della catechesi, perché lì si può entrare, io mi vergogno e me ne scappo subito. Non riesco a stare più di due minuti, perché quella grotta per me rappresenta un rimprovero straordinario, perché chiudo gli occhi e penso alla mia stanza: quante cianfrusaglie che tengo. Io dico che tutto è necessario; ma non è vero niente!

Non portava con sé mai denaro, l’ha scritto anche nella regola e quindi anche i suoi frati non hanno portato mai denaro, eccetto i fratelli laici. Non portava nemmeno le provviste quando viaggiava, si affidava all’elemosina, alla bontà, al cuore, alla carità dei fedeli.

Quando ha fatto il viaggio da Paterno a Milazzo – questo lo sappiamo perché ha fatto un miracolo – lungo il viaggio non aveva di che mangiare né lui, né i suoi compagni. Per la strada, in un campo, ha trovato un contadino che lavorava e gli ha chiesto del pane. Quello gli ha detto: l’ho già mangiato.

– Vedi nella bisaccia!

– Ma se l’ho mangiato!

– Te lo dico io, vedi!

Quello ha ubbidito, è andato e ha trovato un bel pane caldo. L’ha preso e l’ha dato ai suoi compagni, ed è durato per dodici giorni, fino a quando sono arrivati a Catona, perché allora si camminava a piedi.

Non aveva soldi da dare a Pietro Colosimo per attraversare lo Stretto di Messina, ha dovuto prendere il suo mantello, e tra l’altro c’erano pure i buchi. Dice la storia che era sdrucito e che Fra Giovanni, preoccupato gli ha detto: Fra Francesco, mettiamo il mio mantello, è più sano del tuo, altrimenti l’acqua entra attraverso i buchi!

Costruisce i conventi senza un soldo, incominciando da Paola fino a Paterno e a tutti gli altri; ma con la potenza di Dio e la carità di Dio, fidando solo in lui. Distacco completo! Si avverano le parole di Gesù: “Unum dabis et centum accipies”. Coloro che daranno uno riceveranno cento su questa terra e nell’altra. San Francesco ha dato tutto e ha ricevuto tutto.

conclusione

Meditiamo queste parole di Gesù anche alla luce del luminoso esempio di san Francesco, in modo da poterlo veramente seguire, e seguire con tutto il cuore.