Farai di Lui ciò che vorrai. Tu puoi amarlo! – Mc 9, 30-37

Mc 9, 30-37 – Due modi sbagliati di tacere

Questa relazione è stata tenuta dal Padre ai suoi confratelli a Paola nel 1989,

in occasione di un incontro dell’Ordine, organizzato dal Provinciale, P. Giuseppe Morosini.

           

 

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Francesco alla scuola del Crocifisso

 

           

            Il Crocifisso è stato il grande libro su cui S. Francesco ha imparato a penetrare i misteri di Dio e dell’uomo, nelle lunghe veglie e nei lunghi silenzi della grotta dove, sin da fanciullo, amava ritirarsi.

Dalla contemplazione del Crocifisso ha capito tre grandi verità:

 

  1. Che il peccato è stata la causa della crocifissione del Cristo
  2. Che era necessario che il Cristo soffrisse e morisse in croce per salvare gli uomini
  3. Che il movente della incarnazione, passione e morte del Cristo è stato l’amore.

 

Da queste verità, S. Francesco ha ricavato tre concetti che sono diventati i cardini della sua spiritualità:

 

  1. Che il peccato è il più grande male per l’uomo
  2. Che la via obbligata che porta al cielo è la via della sofferenza e della croce
  3. che bisogna soffrire per amore e con amore.

 

Per questo S. Francesco ha abbracciato la strada della penitenza, intesa nei suoi tre aspetti: di conversione, di mortificazione e di riparazione.

Conversione dal male al bene, guerra al peccato e impegno nella via della santità; mortificazione dei sensi per custodirsi dal peccato; riparazione dell’offesa recata a Dio e dei danni provocati dal peccato per tornare in amicizia con Dio.

Poiché per capire S. Francesco, imitatore del Crocifisso, bisogna capire il peccato e cosa ha fatto il Cristo per distruggere il peccato, esamineremo il rapporto tra il crocifisso e il peccato, tra S. Francesco e il peccato, e tra S. Francesco e il Crocifisso.

[…]

 

  1. Il Cristo ha riparato il peccato con la preghiera, con la sofferenza e con l’amore

 Con la preghiera

Dice l’autore della lettera agli Ebri: “Cristo nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a Colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà”   (Eb 5, 7).

Il Cristo, prendendo su di sé il peccato dell’uomo, si è interposto tra l’uomo e Dio, mettendo tutto il peso delle sue preghiere e suppliche in nostro favore. “Cristo intercede per noi “ (Rm 8, 34), dirà S. Paolo.

“Abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto”   (1 Gv 2, 1), dirà Giovanni.

“Pregate per i vostri persecutori”(Mt 5, 34), aveva detto Gesù ai suoi discepoli; ed Egli per primo ne ha dato l’esempio con la sua vita. Sulla croce la prima preghiera che ha rivolto al Padre è stata a favore dei suoi nemici, di coloro che lo mettevano a morte, di tutti gli uomini per i quali si era incarnato.

Il Cristo sulla croce ha pregato per i suoi nemici. Ha chiesto al Padre di perdonarli. Essi gridavano: “Crocifiggilo! Crocifiggilo!” (Gv 19, 6), il Cristo invece intercedeva per lodo, dicendo: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”(Lc 2, 34). Li ha scusati, li ha scagionati. In altri termini, ha detto al Padre: I miei nemici non sono responsabili della mia morte in croce; e se per caso hanno qualche responsabilità, non imputare loro questo peccato.

Con la sua preghiera il Cristo ha fermato la giustizia di Dio. Come Dio infatti ha sempre accolto la preghiera del giusto in favore dei suoi fratelli – vedi la preghiera di Abramo, la preghiera di Mosè per il suo popolo, e di tutti i profeti – a maggior ragione ha accolto la preghiera del Figlio suo, in riparazione dei peccati del mondo.

 

Con la sofferenza

La via della salvezza passa attraverso la sofferenza e la morte, che è il retaggio del peccato. Così ha stabilito Dio. “Quando tu ne mangiassi, moriresti”(Gn 2, 17), disse Dio al primo uomo. E quando l’uomo si ribellò a Dio, così avvenne. “Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, disse a Eva, con dolore partorirai i figli”(Gn 3, 16). Ad Adamo disse: “Con dolore ne trarrai il cibo….Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra” (Gn 3, 17-19).

La via della salvezza non poteva essere diversa per il Cristo. Venendo sulla terra avrebbe salvato gli uomini per mezzo della sua passione e morte in croce. Così aveva stabilito il Padre, così avevano predetto i profeti, così ha detto il Cristo stesso.

“Sarà condotto come pecora da macello”(Is 53, 7).

“Non ha sottratto la faccia agli sputi” (Is 50, 6).

“E’ diventato loro scherno”(Sal 68, 12).

Tutti i passanti lo hanno depredato”(Sal 88, 42).

“Quando mi vedono scuotono il capo (Sal 64, 9).

“Hanno forato le mie mai e i miei piedi, posso contare tutte le mie ossa” (Sal 2!, 17-18).

“Sarà condannato a una morte infame”(Sap 2, 20).

“Non bisognava che il Cristo sopportasse questa sofferenza per entrare nella sua gloria?” (Lc 24, 26).

 

Con l’amore

 Il Cristo ha accettato la sua passione e morte in croce per la salvezza degli uomini per amore e con amore.

Il Cristo ha sofferto per amore

Il Crocifisso è il culmine dell’amore. “Nessuno ha un amore più grande di questo:dare la vita per i propri amici “ (Gv 15, 13); ma il Cristo ha fatto ancora di più, ha dato non la vita per gli amici, l’ha data per i nemici. Il peccatore è infatti nemico di Dio. “Mentre noi ancora eravamo peccatori, dice S. Paolo, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito da Dio. Ora a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi, perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi”

 

(Rm 5, 6-8). “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore”                (Ef 5,2).

Cristo si è incarnato, ha patito ed morto in croce per amore; per amore al Padre e per amore agli uomini. Ha restaurato il primitivo progetto di salvezza del Padre, ha sconfitto definitivamente il suo avversario, il diavolo, e si è messo al posto dell’uomo, che era il vero colpevole, e quindi l’unico condannato a morte.

Non c’è amore più grande! Ecco perché il Cristo, quando ha voluto comandare l’amore fraterno, ha detto: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato” (Gv 15, 12).

Se togliamo il movente dell’amore dal Crocifisso, il segno più nobile della redenzione diventa un supplizio ignobile e mostruoso. Disgiungere la sofferenza e la croce dall’amore è come separare l’anima dal corpo, non si ha più un essere vivente, ma un cadavere in decomposizione.

 

– Il Cristo ha sofferto con amore

Soffrire con amore significa soffrire liberamente, perché senza libertà non c’è amore, soffrire uniformandosi alla volontà di Dio, e poi soffrire con pazienza, con serenità, con gioia.

Il Cristo si è offerto liberamente alla sua passione e morte, infatti fino a quando non lo ha permesso, nessuno ha potuto mettergli le mani addosso: né gli abitanti di Nazareth, né i soldati del Tempio, né coloro che volevano lapidarlo. Quando invece lo ha permesso “perché si adempissero le Scritture e i profeti” (Mt 26, 55-56), gli uomini hanno potuto fare di lui tutto quello che hanno voluto. Il Cristo ardeva dal desiderio di compiere in tutto la volontà del Padre, e si è avviato a grandi passi verso Gerusalemme, perché lì si sarebbe realizzata la salvezza dell’uomo. “C’è un battesimo – diceva – che io devo ricevere e come sono angosciato, finché non sia compiuto”(Lc 12, 50).

Tutta la vita del Cristo è stata costellata da umiliazioni, sofferenze fisiche, dolori morali, ma in ogni circostanza spicca sempre la sua piena e totale uniformità alla volontà del Padre; la sua pazienza nel sopportare l’incomprensione dei parenti, degli amici e dei nemici; la sua fortezza d’animo nel sopportare gli insulti, le ingiurie, le percosse; la sua serenità anche tra i tormenti più indicibili; la sua gioia di poter fare in tutto la volontà del Padre suo, e di salvare i suoi fratelli. “Quando sarò innalzato attirerò tutti a me” (Gv 2, 32). Sulla croce poi si è abbandonato fiducioso in Dio, dicendo: “Padre,nelle tue mani consegno il mio spirito”(Lc 23, 46).

L’abbandono è il culmine dell’amore.

 

[….]

S. Francesco  ha detto: Se tutto il Vangelo si sintetizza in queste parole: “Fate penitenza e credete al Vangelo”, allora io farò penitenza e crederò al vangelo, e inviterò gli altri e credere e a fare penitenza. I miei figli faranno penitenza, leggeranno e predicheranno la Parola di Dio, così convertiranno se stessi e convertiranno gli altri, crederanno loro e faranno credere agli altri.

  1. Francesco aveva capito che al regno di Dio non si accede se non attraverso la “metanoia”, se non attraverso l’intimo e totale cambiamento di tutto l’uomo, se non attraverso una totale conversione che investe tutto l’uomo: intelligenza, volontà, cuore, opere.

Nella regola infatti dice che i Frati si dedicheranno alla confessione e alla predicazione del Vangelo.

Con la predicazione del Vangelo si dà la fede, e con la confessione si distrugge il peccato.

Questo è l’’apostolato penitenziale che il Santo Fondatore ha consegnato a noi suoi figli.

 

 

  • Francesco e il crocifisso

    Francesco, contemplando il Crocifisso, che sulla croce si è offerto vittima al Padre in riparazione del peccato e per la salvezza degli uomini, ha compreso la necessità della riparazione anche da parte dell’uomo, per collaborare alla riparazione del Cristo. Non può soffrire solo il Cristo, anche l’uomo deve fare la sua parte. Anche l’uomo è chiamato alla riparazione.

La riparazione dell’uomo, senza la riparazione del Cristo non ha nessun valore; ma unita alla sofferenza del Cristo acquista un valore infinito. L’uomo, unendo le sue preghiere, le sue sofferenze e le sue penitenze, alla preghiere, alle sofferenze e alle penitenze del Cristo, diventa anche lui un riparatore dei suoi peccati e dei peccati dei suoi fratelli, “completando in sé, come dice S. Paolo, quello che manca alla passione di Cristo” (Col 1, 24).

Francesco era così convinto che il peccato attira l’ira di Dio, e che di nessun peccato resteremo impuniti, che dinanzi alle catastrofi naturali, alle guerre e alle pestilenze vedeva lo sdegno dell’Altissimo per i suoi peccati, e chiedeva ai fratelli di aiutarlo a riparare i suoi peccati con la preghiera e la penitenza.

 

Francesco ha riparato il peccato con la preghiera

 La preghiera è una forma di penitenza, perché chi prega si riconosce bisognoso della misericordia di Dio, rinuncia a mettere la fiducia in se stesso, per porla in Dio; riconosce di dover tutto al Signore e attende da lui la salvezza.

Chi si riconosce peccatore è umile, e Dio ascolta la preghiera degli umili. Dice la S. Scrittura che la preghiera degli umili penetra le nubi (Sir 35, 17)

 

Francesco ha riparato il peccato con l’amore

 Francesco dalla contemplazione del crocifisso ha imparato che il Cristo ha sofferto per amore e con amore, e che la sofferenza è il segno più autentico dell’amore; e anche lui ha messo come movente della sua riparazione l’amore, ed ha dimostrato il suo amore accettando la sofferenza, ricercando e offrendo a Dio la sofferenza.

 

 

Francesco ha sofferto per amore

L’amore o trova uguali o rende uguali. S. Francesco non poteva vedere il Cristo in croce e lui darsi alla gioia. Guardando il Crocifisso, non ha avuto esitazione a fare la sua scelta ed ha detto: Tu nella grotta, io nella grotta; Tu al freddo, io al freddo; Tu nel deserto, io nel deserto; Tu digiuno, io digiuno; Tu umiliato, io umiliato; Tu flagellato, io flagellato; Tu deriso, io deriso, Tu sulla croce, vittima di espiazione al Padre per i peccati degli uomini, anch’io sulla croce, vittima di espiazione con Te al Padre per i peccati degli uomini.

 

 

Francesco ha sofferto con amore

Francesco, educato alla scuola del Crocifisso, non solo ha sofferto per amore, ma ha sofferto anche con amore. Ha sofferto infatti liberamente scegliendo una vita di penitenza, ed ha accettato sempre dalla mani di Dio ogni sofferenza come dovuta al suo nulla e alla sua miseria, uniformandosi in tutto alla divina volontà.

Ha accettato con amore la sofferenza, perché sapeva che gli veniva dalle mani di un Dio che lo amava, e l’ha offerta come dono di amore a quel Dio che egli amava.

Francesco ha accettato ogni cosa con pazienza, senza ribellarsi, senza lamentarsi, rimanendo sereno dinanzi ad ogni contrarietà, ad ogni ingiuria, ad ogni molestia.

Come il Cristo, egli è arrivato a soffrire avendo in cuore la gioia, che è un dono di Dio.

Uno sguardo alla croce, dove pendeva il Figlio di Dio, ed uno al cielo, dove è riservata la più grande ricompensa alla sofferenza, facevano trovare al nostro santo Padre la felicità nella sofferenza. Egli accettava le umiliazioni con la gioia del povero che riceve immense ricchezze. Quando a Paterno, tra la folla che lo acclamava si levò la voce di un uomo che lo chiamò “impostore”, non solo non si scompose, ma andò a ringraziarlo, perché solo lui aveva visto giusto; quel titolo era quello che egli meritava.

Seguendo l’insegnamento di Gesù, S. Francesco riteneva la sofferenza un bene prezioso, una beatitudine. Non aveva forse detto il Cristo: “Beati gli afflitti….Beati i perseguitati…Beati voi quando vi insulteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli”?(Mt 5, 4. 10-12)

“Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria”(2 Cor 4, 17).

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