Trasmettitori di un Amore – Gv 15, 1-8

Gv 15, 1-8 – Rimanete in me e allora porterete frutto

 

da un Ritiro tenuto da P. Francesco Chimienti O.M

del 10.04.1971

FECONDITA’ PERSONALE E APOSTOLICA

(Gv 15, 1-5)

  1. La fecondità personale dipende dall’unione con Dio

“Io sono la vite vera, il Padre mio è il vignaiolo” (Gv 15, 1). “Voi siete i tralci” (Gv 15, 5).

Il punto da cui parte Gesù è questo: la vostra vita spirituale è intimamente legata, in unione vitale con la mia vita soprannaturale, con la mia vita divina. Se c’è questa intima unione tra voi e me ci sarà un determinato risultato; se questa unione non c’è, se viene ad essere spezzata, non ci sarà nessun risultato. Se vuoi portare frutto personalmente devi essere unito a me.

Per spiegarci questa verità, Gesù ha portato la similitudine della vite. La vite è fatta di tronco ed è fatta anche di tralci. Il tralcio porta il frutto; questo frutto è il risultato della linfa vitale che passa attraverso il tralcio, ma che parte dal tronco e dalle radici. Se questo tralcio è unito alla vite, vivrà della stessa vita della vite e quindi porterà frutto; se non è unito alla vite secca, cade per terra, poi viene ad essere raccolto e bruciato per non ingombrare il terreno.

Gesù completa questo primo concetto dicendo che esiste per questa vite anche un agricoltore: il vignaiolo, il Padre suo, che si preoccupa della vite. Se il tralcio non è unito alla vite l’innesta con il santo Battesimo; se si è staccato lo rinsalda per mezzo del sacramento della Penitenza, quindi lo aiuta con tutti i mezzi possibili, affinché sia sempre unito e porti frutto.

Gesù ci ha voluto dire che la nostra vita spirituale è il frutto di due azioni coordinate: un’azione interna, dovuta alla linfa vitale che parte da Gesù e arriva a noi, e da un’azione esterna, quella del vignaiolo, che si preoccupa che questo tralcio porti i frutti che lui desidera.

L’azione interna è dovuta all’unione intima con Gesù; l’azione esterna è l’accettazione della volontà di Dio.

 

  1. La sofferenza aumenta la fecondità apostolica

“Ogni tralcio che porta frutto, il Padre lo pota perché porti più frutto” (Gv 15, 2).

Questa è la vera azione di Dio che noi dovremmo capire e accettare.

Se un tralcio non porta frutto, perché non è legato alla vite, si stacca, cade per terra, da solo si secca; il vignaiolo non ha da fare altro che prendere questo tralcio e gettarlo nel fuoco, bruciarlo. Se un tralcio porta frutto, il vignaiolo lo pota, lo taglia perché porti più frutto.

Quello che noi non capiamo, per cui gridiamo, è questa seconda azione da parte di Dio, che è azione di dolore. Se capirete questa grande verità, capirete ciò che avviene nella vostra vita.

– Padre, io faccio il mio dovere, perché tutte le cose mi vanno storte?

Il vignaiolo, l’agricoltore non è contento quando la vite porta un determinato frutto, sapendo che può portare di più. Perché produca di più la deve sottoporre alla operazione della potatura, che è un’operazione dolorosa.

L’attenzione di Dio Padre è per il tralcio che porta frutto, non per il tralcio che non porta frutto; lì non c’è da fare nessuna operazione, ha soltanto da raccogliere e bruciare, oppure prendere questo tralcio e innestarlo o col battesimo o per mezzo della penitenza; ma non è un’operazione di dolore. Invece la sua attenzione è verso il tralcio che porta già frutto. Poiché è già legato, non lo innesta ma fa un’operazione di potatura: taglia.

Quando volete sapere se veramente Dio è con voi, dovete accettare questa operazione. Quando Dio vi sottopone alla sofferenza, all’incomprensione, al travaglio di coscienza, vuol dire che siete un tralcio che porta frutto.

La sofferenza è il sigillo della presenza di Dio, è il timbro dell’azione diretta di Dio.

Potete pure gridare, purché diciate: Signore, si faccia la tua volontà, fa’ di me quello che vuoi!

L’operazione che compie Dio all’esterno sembra quasi un’operazione di rigetto. Facendo il paragone tra colui che è peccatore e colui che è unito a Dio, è trattato meglio colui che pecca. Infatti prendere questo ramo e innestarlo, legarlo nuovamente alla vite, non è un’operazione di rigetto ma di accoglienza, non porta nessun travaglio di coscienza.

Le parabole della pecorella smarrita e del figliuol prodigo ci fanno capire questo atteggiamento di
Dio Padre. Dio sta con le braccia aperte per accogliere il peccatore. Il figlio che è stato sempre a casa sua è trattato in un altro modo; ma per quello che stava fuori fa il pranzo, grida di gioia, chiama le altre persone, fa festa.

Se Dio deve accarezzare una pecorella, accarezza quella smarrita! Va a prenderla, l’accarezza, la pulisce, se la mette sulle spalle. Questo non l’ha fatto con quelle che stavano nell’ovile. Con quelle opera diversamente!

“Ogni tralcio che porta frutto lo pota”. La potatura è segno che il tralcio porta frutto. Vi toglie tutte le cose che vi stanno più a cuore; quegli affetti a cui ci tenete di più. Non è operazione di rottura, ma di potatura; taglia determinati fili.

Noi a certi difetti ci teniamo! Alla macchina ci teniamo, ebbene ci va a toccare proprio in quella creatura a cui siamo legati. Oggettivamente parlando è una piccola cosa, è niente, non è la morte di una persona cara che ci avrebbe portato molto più dolore, ma è la potatura di un rametto, di una foglia, di una qualche cosa che però ci fa soffrire assai.

L’azione di Dio con voi è soprattutto di sofferenza interiore.

Quando il Signore vuole prendere un’anima, opera con dei tagli veramente incisivi nella interiorità, e soprattutto nel bene.

È classico l’episodio di santa Teresa. Una volta, partita da un monastero andava a fondarne un altro. Lungo la strada fu colta da una tempesta terribile, la carrozza non andava più avanti, le ruote affondavano nella melma, i cavalli annaspavano. Veramente questa donna doveva dire: ma che cosa vado a fare? Vado a fondare un convento dove delle donne ti loderanno in eterno, e tu mi tratti in questo modo? Così tratti gli amici?

“Se fate quello che io vi comando, sarete veramente miei amici”, ha detto Gesù. Siete disposte ad accettare quest’azione di Gesù, e a fare quello che lui vi comanda?

Quello che il Signore vuole farci notare è che l’autore del bene è lui. È un amico molto esclusivo, geloso, gelosissimo. Vuole l’anima tutta per sé.

Il vero tormento, il più grande che ci possa essere è quello interiore. La sofferenza vera è quella interiore. I lutti, le disgrazie, le sofferenze fisiche, non hanno la forza di questa operazione che fa Dio Padre: il taglio della sofferenza interiore.

Dopo aver fatto tanto bene, non sentirsi dire nemmeno “grazie”, ci fa soffrire, ma Gesù vuole che il bene dev’essere fatto per lui, non per la nostra gloria.

Se il Signore vi tratta in questo modo sappiate che siete tralcio che porta frutto. È Gesù che l’ha detto.

Nella sofferenza aprite il vostro cuore al Gesù che si perpetua nei sacerdoti, non dico affinché vi consoli, ma affinché vi dia la certezza della presenza di Dio Padre, di Dio Figlio e di Dio Spirito Santo nel vostro cuore.

Dalla sofferenza vi accorgerete che siete le predilette di Dio; se non c’è la sofferenza non siete le predilette di Dio. è chiaro che a voi e a me piace essere accarezzati anziché essere bastonati, ma questa è la storia.

La fecondità personale è legata all’unione intima con Gesù e alla subordinazione o uniformità della nostra volontà alla volontà di Dio, qualunque cosa egli faccia.

  1. L’efficacia apostolica dipende da Dio

“Senza di me non potete fare nulla” (Gv 15, 5).

La fecondità apostolica, oltre che quella personale di cui vi ho parlato, è legata a questa verità di fede, che senza di Gesù non possiamo fare nulla. La conversione delle anime è frutto di ginocchia, è frutto di preghiera, perché per mezzo della preghiera ci uniamo a Gesù e facciamo in modo che Gesù entri nelle anime.

Se la tua parola è stata efficace, l’efficacia proviene da Dio. “Senza di me non potete fare niente!”. Gesù ha legato alla parola detta da te, la sua azione; ma devi riconoscere che è la sua azione, non la tua che salva.

Hai fatto dei discorsi e hai detto quelle stesse parole chissà quante volte, ma non hai mai ottenuto niente; quella volta hai fatto lo stesso discorso, e quelle parole hanno colpito quell’anima. Sei stata tu? Se fossero le tue parole, dovevano colpire sempre, e non una, ma tutte le anime. Invece, se oggi

non colpiscono e domani colpiscono, è perché Dio si serve di te per arrivare in quell’anima.

Finiamola perciò con tanta presunzione, come se l’efficacia della salvezza delle anime dipendesse dalla nostra prosopopea. Il Signore vi umilia, vi distrugge, vi annienta per dimostrarvi che non valete niente.

San Paolo arriva fino al punto di dire che non possiamo dire nemmeno la parola “Gesù”, senza una grazia dello Spirito Santo. Chissà quante volte abbiamo detto: Gesù ti amo, ti voglio bene, aiutami, proteggimi! È lo Spirito Santo che ce l’ha fatto dire. E come si può pretendere che tutto il bene che è nell’anima nostra e fuori di noi sia opera nostra?

Dio è geloso delle sue opere. È un’espressione della S. Scrittura! Noi abbiamo un Dio gelosissimo. Poiché il bene operato è opera sua, non vuole che gli altri si arroghino il diritto di prendersi questo bene.

“Senza di me non potete far nulla!”. Tenetelo presente nella vostra azione apostolica. Prima di andare a parlare raccomandatevi al Signore, e dopo che siete andate ringraziatelo. Le anime sono sue, sono state riscattate non con l’oro, né con l’argento, ma col suo sangue preziosissimo. È san Pietro che lo dice. Gesù ci tiene ad essere il redentore di tutte le anime.

Quando portiamo Dio alle anime, il Signore è contento; quando invece non portiamo Dio, ma portiamo noi stessi, non è contento e intralcia il nostro cammino. Ma c’è bisogno di perdere tanto tempo? Ormai lo sappiamo che è geloso, che vuole essere riconosciuto come l’autore di ogni bene, tanto vale che ci mettiamo su questa linea.

Sembra facile ed è difficile, senza dubbio, ma bisogna entrare in questa linea. Anche la stessa nostra santificazione è opera di Dio.

Mi fate ridere quando dite: Ho fatto questo, ho fatto quest’altro! Dite: Per grazia di Dio sono quello che sono, e non per i miei meriti.

È Dio che ha costruito; è Dio il vignaiolo che ha operato determinate operazioni in te, ma quell’anima piena di imperfezioni che eri ieri, sei oggi.

È per grazia di Dio che siete quello che siete, non perché siete diverse da tutti gli altri uomini. Noi siamo uguali, convincetevi, non c’è nessuna differenza. Difatti il Signore, di tanto in tanto, sospende questa protezione particolare e ci fa piombare nel nulla.

Padre, non capisco più niente!, voi dite.

Non sei diversa da quella che eri dieci anni fa. Tu hai creduto che quello che facevi era roba tua, dice Gesù, ma senza di me non puoi fare nulla, e ora te lo faccio sperimentare.

Non è cambiato niente, è cambiata l’azione di Dio, ma lui continua a proteggervi. Non si fa vedere, si nasconde, ma è vicino a voi. Non si diverte a farvi cadere, si dispiacerebbe immensamente, ma vi vuol fare sperimentare che, se avete fatto del bene, lo avete fatto perché lui vi è stato vicino. Se oggi costatate di andare indietro, non è perché lui è venuto meno, ma perché vi ha fatto vedere quello che voi in realtà siete: niente prima, niente oggi e niente domani.

Senza di me non potete fare nulla! Però dovete poter dire come san Paolo: Per grazia di Dio sono quello che sono, e la grazia di Dio in me non è stata vana.

conclusione

Collaborate! Se volete la fecondità spirituale, e io penso che sia il desiderio più ardente di ciascuna di voi, come lo è il mio, dovete essere unite a Gesù, sia nella vostra impostazione di vita interiore e personale, sia nella vostra vita apostolica. Tutto deve partire da Lui e tutto deve arrivare a lui, convergere a lui.

Io sono la vite, voi i tralci e mio Padre è il vignaiolo. Il Padre taglia e pota. Taglia i rami che sono secchi e pota i rami che portano frutto. Fatevi potare, però tenete presente che sia nella potatura, sia nel taglio dovete essere sempre unite a Gesù, perché se siete unite a lui porterete frutto, ma se non siete unite non porterete giammai frutto.

Volete essere feconde? Unite a Gesù! Ditegli: Gesù, Signore, fa’ di me quello che vuoi! Diceva giustamente sant’Agostino: Tagliami qui, percuotimi qui, annientami qui, purché ti goda nell’eternità.

Dite anche voi le stesse parole che ha detto Gesù nell’ultima cena, e che soprattutto ha messo in pratica il venerdì santo: “affinché tutti sappiano che io faccio la volontà del Padre mio!”.

Che tutti abbiano a vedere che fate sempre la volontà del Padre celeste.