Ascensione – Lc 24, 46-53

da un’omelia di P. Francesco Chimienti O.M.

Martina Franca, 17.04.1994

 

IL CRISTO DOVRà PATIRE E RISUSCITARE DA MORTE IL TERZO GIORNO

E NEL SUO NOME SARANNO PREDICATI A TUTTE LE GENTI

LA CONVERSIONE E IL PERDONO DEI PECCATI

(Lc 24, 46-47)

 

 

 

  1. “Il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti” (Lc 24, 46)

 Come il Cristo, anche noi avremo due specie di sofferenze: quella proveniente dagli uomini e quella proveniente da Dio. Accettatele e offritele a Dio entrambe.

 

  • La sofferenza procurata dagli uomini

Questa sofferenza serve a purificarci, a farci esercitare in tutte le virtù, a santificarci. In altri termini, se non c’è la sofferenza procurata dagli uomini, noi non ci purifichiamo dai nostri peccati, non ci esercitiamo nelle virtù e non ci santifichiamo.

Allora è necessario soffrire dagli uomini, e quando ci fanno soffrire dobbiamo ringraziarli, perché questa è la mentalità del Vangelo!

 

  • La sofferenza procurata da Dio

C’è una sofferenza che è procurata da Dio. Beato chi ce l’ha! Molte di voi ce l’hanno ed io ne ringrazio il Signore; mi dispiace solo che non la sapete percepire come sofferenza procurata e voluta da Dio. Se la percepiste così, dovreste sempre baciare quella mano che vi percuote.

La sofferenza procurata da Dio è quella interiore. Essa serve a riparare i nostri peccati e i peccati dei nostri fratelli.

Fino a quando voi, Missionarie della Parola di Dio di spiritualità minima con il carisma penitenziale, non avrete la sofferenza interiore, non salirete tutti e tre gli scalini della Penitenza.

Il primo scalino consiste nel lasciare il peccato e vivere in grazia, il secondo nel mortificarsi, il terzo nel riparare.

Se non interviene Dio direttamente a darvi la sofferenza interiore, che è il massimo dell’amore che Dio può usare nei vostri riguardi, voi non riparerete mai il vostro peccato, né quello degli altri.

Con dispiacere devo dire che molti hanno questa sofferenza interiore, ma pochi l’accettano.

Molte di voi hanno avuto questo dono da Dio e ce l’hanno, ma il Signore deve stare a combattere con voi per farvi accettare come dono la sofferenza interiore, che è la massima espressione del suo amore. Attraverso questa sofferenza il Signore vi vuole portare dal primo scalino della penitenza al secondo e poi al terzo.

Voi a parole dite: Signore, voglio riparare per me e per i miei fratelli, ma in effetti, cioè in pratica, non solo non riparate, ma rifiutate la sofferenza interiore, che è lo strumento e il mezzo che Dio vi dona per riparare.

La spiritualità minima non è una dottrina da imparare a memoria, ma è una dottrina da praticare gradualmente, per cui dal primo scalino occorre passare al secondo e dal secondo al terzo, senza fare salti!

Voi mi sapete ripetere a memoria la dottrina della spiritualità minima, ma poi nella vita pratica la rifiutate.

Io di questo non sono contento, come non lo è san Francesco e neppure Dio, che ci dice: “Il Cristo dovrà patire e il terzo giorno risuscitare dai morti”.

Quindi prima c’è la sofferenza, poi la gloria. Non c’è prima la risurrezione e poi la sofferenza, perché quando saremo risorti la sofferenza con ci coglierà più.

 

 

  1. Nel suo nome sarà predicata a tutte le genti la conversione

 Poiché Gesù ha detto di predicare la conversione a tutte le genti, gli apostoli hanno predicato la conversione a tutte le genti.

Anche le catechiste devono annunziare la conversione a tutte le genti.

San Pietro nel suo discorso fatto a Gerusalemme nel giorno di Pentecoste, dice: Pentitevi e cambiate vita! (Cfr. At 2, 38).

La prima conversione è cambiare vita, è cambiare mentalità.

Gesù diceva: “Convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1, 15).

Cambiare mentalità significa lasciare la mentalità del mondo e prendere la mentalità di fede, quella del Vangelo.

Cambiare vita significa che se prima agivo in un modo, adesso devo agire in un altro modo; però questo cambiamento di vita deve essere graduale e continuo.

Bisogna passare dal male al bene, dal bene al meglio, dal meglio all’ottimo, dall’ottimo al santo, dal santo al perfetto. Fino ad accettare l’invito di Gesù che dice: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5, 48).

Quindi nel cammino della perfezione, camminando sempre lungo il corso della nostra vita, dobbiamo arrivare ad imitare Dio.

Voi, Missionarie della Parola di Dio di spiritualità minima, avete accettato queste parole di Gesù e dovete predicare a tutte le genti la conversione.

Voi, come san Pietro, dovete dire: Pentitevi, cambiate vita! Però, prima di dirlo agli altri, dovete impegnarvi a cambiare la vostra vita, dovete convertirvi e cambiare vita ogni giorno, per andare dal bene al meglio, dal meglio all’ottimo, dall’ottimo al santo, dal santo al perfetto.

Dovete fare l’esperienza personale del pentimento e del cambiamento di vita, poi dovete dire agli altri: Pentitevi; cambiate vita!

Se farete questo, potrete dire agli altri le stesse parole che diceva san Paolo: “Siate miei imitatori come io lo sono del Cristo” (1 Cor 11, 1).

Dovete dire ai fratelli: Se il modello Cristo è troppo lontano da voi, se il modello Francesco di Paola è troppo lontano da voi, imitate me!

Ma se voi non cambiate vita, come farete a dire: Imitate me? Se voi non cambiate vita, le vostre parole voleranno e non incideranno mai in profondità nei vostri uditori.

 

  1. Sarà predicato a tutte le genti il perdono dei peccati (Lc 24, 47)

 San Pietro, il giorno di Pentecoste, disse: “Fratelli, pentitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati” (cfr. At 2, 38).

Diceva san Giovanni: “Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate (la prima cosa che chiedeva era di non peccare, cioè osservare i dieci comandamenti); ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo” (1 Gv 2, 1-2).

La verità che vi voglio dire stamattina e che vi voglio ripetere fino alla noia è questa: Noi non siamo santi, siamo peccatori. Chi ci ha fatto santi e ci fa santi è il Cristo, che ha preso il nostro peccato, assumendolo su di sé e togliendolo a noi.

Il Cristo, prendendo il nostro peccato, pur non avendo peccato, lo ha espiato. Egli ha espiato il mio peccato, il vostro e il peccato di tutti gli uomini.

Quando diventiamo santi? Quando riconosciamo di aver peccato e gli chiediamo perdono. Proprio in quell’istante noi diventiamo santi, mentre Gesù diventa peccatore, perché deve espiare il nostro peccato. L’ha espiato col sacrificio della croce e continua ad espiarlo, perché rinnova continuamente il sacrificio della croce, nella S. Messa. Durante la consacrazione, nella S. Messa, il celebrante dice: Questo è il mio corpo, offerto per voi. Questo è il mio sangue, sparso per voi in remissione dei vostri peccati.

Quindi Gesù offre il suo corpo e il suo sangue a Dio Padre, perché tolga i nostri peccati.

Dice san Giovanni: Abbiamo un avvocato presso il Padre. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati.

Il Cristo non è stato vittima solo il venerdì santo, ma lo è in ogni celebrazione eucaristica. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo.

Adesso che celebriamo la S. Messa, il Cristo rinnova il sacrificio della croce per togliere dinanzi al Padre il mio peccato e i vostri peccati, e versa il suo sangue per me, per voi e per tutti gli uomini.

Se noi non ci facciamo lavare dai nostri peccati, come faranno gli altri a farsi lavare dai loro peccati?

Allora il Cristo diventa ingiusto e noi giusti, egli diventa peccatore e noi diventiamo santi.

Esiste la santità sulla terra? Sì, per opera della misericordia infinita di Dio, che ci ha mandato il suo Figlio, e per opera dell’amore infinito del Figlio, che è morto e continua a morire per ciascuno di noi. Nell’istante in cui riconosciamo il peccato e diciamo: Signore, ho peccato, salvami, purificami, in quell’istante Gesù diventa peccatore e noi diventiamo santi. Ecco perché Paolo, quando scriveva diceva: Io scrivo ai santi di Corinto, ai santi di Filippi.

 

conclusione

Adesso noi siamo veramente santi, a condizione che riconosciamo il nostro peccato.

Avete sempre riconosciuto il vostro peccato? Avete sempre detto a Dio: Signore, perdonami?

Non basta riconoscere il proprio peccato, bisogna chiedere anche perdono e scaricarlo sulle spalle del Cristo, il quale lo ha preso sul suo corpo e lo ha portato sulla croce, dove lo ha espiato. E allora santo è il Cristo e santi siamo noi, però, poiché noi siamo continuamente peccatori, continuamente siamo santificati dal Cristo e per questo diciamogli: Grazie!

Diciamo grazie al nostro Dio, che ci ha voluto e ci vuole tanto bene!