Mio Signore, mio Dio – Gv 7, 25-30

da un’omelia di P. Francesco Chimienti O.M.

GESU’ E’ IL MESSIA

(Gv 7, 25-30)

  1. Gesù è l’inviato del Padre

In questi ultimi giorni di quaresima lo sguardo della Chiesa è fisso sul venerdì santo, su quell’uomo che muore sulla croce, e ci dice chi è. Ce lo dice attraverso il vangelo, che è parola di fede, perché dobbiamo fondare le nostre convinzioni sulla fede.

Oggi la Chiesa ci dice che quell’uomo che muore sulla croce è il Messia, il mandato dal Padre.

La parola Messia significa mandato, inviato, ecco perché Gesù si chiama Messia. Poiché nell’Antico Testamento si è sempre parlato del Messia, dell’inviato, e infatti in Giudea aspettavano il Messia, Gesù prima di morire è preoccupato di dire e di dimostrare che lui è il Messia.

Col vangelo di oggi Gesù ci dice prima di tutto: “Io non sono venuto da me” (Gv 7, 28). Io sono stato mandato, io sono l’inviato.

Per essere mandato l’iniziativa non deve essere personale, ma dell’altro che manda.

Chi manda è il Padre. Infatti Gesù subito aggiunge: “Io vengo dal Padre, egli mi ha mandato” (Gv 7, 29).

Nella Bibbia il profeta Isaia riporta il dialogo tra il Padre e il Figlio nell’eternità. Il Padre dice al Figlio:- L’uomo si è ribellato, e invece di essere felice sarà infelice per tutta la vita. Perché sia felice gli dobbiamo togliere il peccato. Io sono Dio e tu sei Dio. Chi è offeso sono io e sei tu, chi mandiamo adesso? Dio era preoccupato di salvare l’uomo, era preoccupato di renderci felici, non voleva che andassimo all’inferno.

Allora il Figlio dice:- Padre, tu non hai voluto né sacrifici né oblazioni dagli uomini, perché fossi placato nella tua ira per il peccato, ebbene dammi un corpo, sono disposto ad andare sulla terra.

L’amore del Padre è preoccupato di salvarci. Dio dall’eternità era preoccupato di portarci in paradiso, figuratevi se non andremo in paradiso!

Il Figlio era preoccupato come il Padre, perciò ha detto:- L’uomo non può riparare. Ci sto io, manda me, però dammi un corpo. Ecco perché dall’eternità Dio ha pensato alla mamma di Gesù, a colei che doveva dare il corpo al Figlio suo, a Maria SS. e l’ha fatta bella.

  1. Noi siamo gli inviati del Padre

Anche noi siamo degli inviati. Il termine Messia però è rimasto solo per Gesù; nessun altro si dice Messia.

Noi non abbiamo preso il termine Messia, ma il termine apostolo, che significa la stessa cosa. È un termine greco che significa inviato, mandato.

Paolo, quando scriveva, diceva sempre: “Io, Paolo, apostolo di Gesù Cristo”. Si chiamava mandato da Gesù Cristo, perché sulla via di Damasco aveva incontrato Gesù Cristo che gli aveva detto: “Va’, ti ho scelto per essere il mio apostolo”. Lui ci teneva sempre a chiamarsi apostolo, inviato da Gesù Cristo.

Io sono un apostolo? Sì. Io e voi lo siamo, perché siamo stati inviati da Dio. La cosa più importante che dovete ricordare sempre è questa: Non sono venuto da me.

L’iniziativa per compiere una missione non deve essere tua, deve essere del Padre, di Dio. Voi avete la missione di essere prima spose e poi mamme. Avete voluto diventarlo voi o questa missione ve l’ha data Dio? Ve l’ha data Dio.

Non sono venuto da me, ma vengo dal Padre, diceva Gesù. Io sono sacerdote. Questa missione me l’ha data Dio; non l’ho presa da me. Guai, dice san Paolo, a coloro che entrano in una vocazione senza essere chiamati. Io sono sacerdote e religioso, guai se questa missione l’avessi scelta da me. Devo essere mandato dal Padre, perché chi manda è lui. Non devo fare la mia volontà, ma la volontà di Dio. Lui dispone di ciascuno di noi.

  1. L’apostolo è uno strumento nelle mani di Dio

“Io conosco il Padre”. Per essere Messia, dice Gesù, bisogna conoscere il Padre.

Il termine conoscere in greco e in ebraico significa conoscenza intellettuale, capire, ma significa anche amare e servire, cioè fare quello che Dio dice e farlo amorevolmente.

Quando io dico che conosco il Padre, dice Gesù, intendo dire che so chi è lui, so che cosa vuole da me, e io lo faccio con amore. Infatti io solo conosco il Padre e il Padre conosce me. Poi aggiunge: Ti ringrazio, Padre, perché hai nascosto, non hai fatto conoscere, queste cose ai sapienti e agli intelligenti, invece le hai rivelate ai piccoli, come la Madonna e san Francesco di Paola.

“Io conosco il Padre”. Gesù può dire queste parole perché è il Cristo, il Verbo di Dio, l’intelletto del Padre, la sapienza del Padre, l’immagine del Padre. Entriamo nel mistero della SS. Trinità. Il Padre pensa. Il pensiero del Padre è il Cristo. Ecco perché chi più di Cristo poteva conoscere il Padre? Infinito il Padre, infinito il Figlio. Quando Dio pensa, pensa col Figlio; quando parla, parla col Figlio. Ecco perché lo ha amato. Nessuno può amare il Padre quanto il Cristo. Lo ha servito, e nessuno potrà servire il Padre quanto il Cristo, tanto è vero che il vero servo di Jahvè di cui parla la S. Scrittura è uno solo, il Cristo. Noi altri siamo servi, ma per modo di dire. Il vero servo, quello che ha fatto tutto quello che il Padre pensava e voleva, è stato soprattutto e solo il Cristo. Quando Dio ha voluto creare il mondo, l’ha creato per mezzo del Cristo. Quando ha pensato a me, mi ha pensato col Cristo, e quando mi ha creato, mi ha creato col Cristo. Il nostro amore per il Cristo deve essere immenso!

Gesù dice: “Egli mi ha mandato”. Io conoscevo il Padre ed ero disponibile a fare tutto ciò che il Padre voleva da me. Sono stato tanto tempo, l’eternità, nel seno del Padre, poi è arrivato il tempo stabilito in cui il Padre mi ha mandato.

Gesù la missione l’ha compiuta in quel tempo stabilito, ma era disponibile a venire sulla terra dall’eternità.

“Egli mi ha mandato”, e adesso io sono venuto a salvare il mondo, non perché l’ho voluto io, ma perché l’ha voluto il Padre.

Il Padre ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio a salvarlo. Il Padre ci ha amato, e il Figlio è venuto per amore del Padre e per amore nostro.

Questa è la nostra missione. Essere catechisti è una missione, non è un incarico.

L’incarico è temporaneo, come essere sindaco; mentre essere padre è una missione. La missione è di sempre. Non mi potete togliere il sacerdozio. Anche quando dormo sono sacerdote. Non mi potete togliere l’essere religioso. Sono sempre religioso. Da quando il Padre mi ha voluto così, fino alla morte e dopo la morte sarò sempre sacerdote e religioso. Così, fare la catechista è una missione, non è un incarico.

La missione è del Padre e io l’accetto liberamente e con amore. Per essere apostoli non bisogna fare la propria volontà, bisogna fare la volontà del Padre, bisogna conoscere, amare e servire Dio, e bisogna farlo quando lui lo vuole. Devo essere disponibile e fare, quando lui vuole, quella cosa che devo fare. Allora sarò il vero inviato, il vero apostolo.

L’apostolo sapete chi è? È il martello nelle mani del falegname; alcune volte ce l’ha in mano e batte i chiodi, altre volte lo lascia sul tavolo, altre volte lo prende e lo getta in un angolo della sua bottega.

L’apostolo deve essere uno strumento nelle mani di Dio. Quando Dio vuole usare me, devo dire: Usami; quando non vuole usare di me, devo però essere sempre disponibile ad essere preso, non me ne devo andare via dalla bottega, via dal convento, via dall’Ordine; devo stare a sua disposizione. Quando lui vuole viene, prende il martello e mi usa.

conclusione

Dovete capire almeno due cose: che il Padre ci ha amati in modo infinito e che il Figlio, nell’amore, ha unito la sua volontà a quella del Padre, non ha fatto nessuna distinzione. Quello che tu vuoi, ha detto, io lo farò. Tu vuoi che io muoia in croce? Io morrò in croce, anche se sono il Figlio di Dio.